art1In quanto appartenente alla categoria e in quanto reduce da un’estate di lavoro da freelance (con le consuete foto dei vacanzieri che appaiono sui social), mi sono sentita quasi in dovere di riassumere i più grandi drammi che ho dovuto affrontare e che ho condiviso con alcune colleghe. Il freelance, si sa, non ha orari: il compito più difficile di un freelance, specie se alle prime armi, è imparare a gestire il proprio tempo in modo da guadagnare abbastanza, senza diventare un cavernicolo che vive in pigiama e mangia sul computer, compito arduo quando ci si mettono di mezzo le consegne ad orari improbabili, gli imprevisti, i mal di testa da schermo, i mal di schiena da postura (s)corretta. Questo aspetto del lavoro da freelance vince sicuramente il premio nella categoria “svantaggi”, tuttavia manca in pieno la categoria “drammi”, perché surclassato da altre cinque meraviglie, che vado ad illustrare (dal basso della mia esperienza).

 

1. La coppia “Consegna + Word Count”

La domanda che fa più paura della risata di un bambino in una casa buia e cigolante è “quante parole puoi prenderti in carico?”. Iniziano i sudori freddi. Calcoli venti volte la tua (presunta) produttività e la dividi per il tempo che hai a disposizione, ma i risultati sono sempre diversi, perché la verità è che non sai quanto tempo hai a disposizione e nemmeno quante parole riesci a fare in un’ora. A questo punto subentrano le paranoie: “ma così lavoro troppe ore”, “ma queste parole sono troppe”, “ho calcolato il tempo per dormire?”. La soluzione ad ogni paranoia è: “dormire non serve!“, basta tenere a mente che la notte è tempo jolly da giocarti se sbagli a calcolare quante parole puoi prendere.

 

2. La partita IVA

Per gli indecisi che tentano di intraprendere con poca convinzione la carriera da freelance la partita IVA è l’incubo più ricorrente. “Ma dovrò davvero aprirla?”, “e se poi non lavoro abbastanza?”, “e se supero il tetto massimo e devo aprirla per forza, ma poi non mi arriva più lavoro?”.  L’ansia da partita IVA genera l’ansia secondaria delle tasse, che appaiono magicamente in sogno inseguendoti in pinete buie e ululando per spaventarti. Il segreto è procrastinare in attesa che qualche agenzia risponda ad una proposta di collaborazione qualunque, almeno per giustificare i costi che il mostro della burocrazia richiede.

 

3. I feedback

Proprio perché si è alle prime armi i feedback sono potenti strumenti di apprendimento e di depressione. Personalmente non ho ancora ricevuto un feedback (sensato) con allegato “SEI INCAPACE”, anzi, ma per quanto si leggano frasi dai pm e dai revisori che sottolineano che l’importante è imparare e l’errore non era grave, ti ritrovi comunque a fissare il tuo obrobrio per ore chiedendoti come sia stato possibile commetterlo, pensando a come sarebbe fiorente la tua carriera di coltivarice di patate se mollassi tutto e sotterrassi (sotto le patate) il tuo errore da novellina.

 

4. I CAT che non collaborano

Le femme fatale della traduzione: i CAT. Ti attirano con il loro layout comodo, le memorie di traduzione, le percentuali che ti sussurrano “hai già tradotto questo segmento lunghissimo, non devi ritradurlo” e appena hai capito che saresti disposta a sacrificare un rene per averli, loro ti tradiscono. Carichi il pacchetto e invece di aprire pacificamente il progetto e tutta la mercanzia appaiono finestre di errore, il word count è sbagliato, quando esporti il formato non è mai quello giusto, anche se lo selezioni manualmente, e in quel momento realizzi che forse quel rene ti serviva proprio, mentre i programmi di videoscrittura sono così comodi, che vale la pena ritradurre un segmento già tradotto. Ma l’essere umano è fallibile per natura e i traduttori non sono da meno, perciò, già che il rene lo abbiamo tolto, continuiamo imperterriti a farci irretire dai CAT.

 

5. L’interazione sociale

Per una settimana ti sei dimenticata di vivere, di cambiarti il pigiama e di dormire e hai avuto un rapporto a due col tuo computer così intenso da aver dimenticato qualunque interazione umana e finalmente consegni. Da quel momento il tuo rapporto col computer si chiude e sei costretta a vedere persone, parlare con le persone, ma quello che esce dalla tua bocca è “Ctrl + Enter”. Provi a spiegare che è come in Tempi moderni di Charlie Chaplin, ma la gente non ti capisce, ti chiedono a cosa lavori e sei evasiva, perché l’nda incombe su di te come un avvoltoio. L’unica strada per la salvezza è stappare il vino: il linguaggio generale diventa in breve quello con cui comunichi col computer e nessuno farà più domande sul tuo lavoro perché saranno troppo impegnati a bere.

 

In fondo però siamo solo all’inizio, potrà mai andare tanto peggio di così? La verità è che scherzare sui piccoli drammi quotidiani li fa vivere con un po’ meno paura e per chi è alle prime armi niente è meglio che riderci su, per rendere tutto più accessibile, più piccolo di quello che sembra da quaggiù.

I 5 drammi dei traduttori freelance alle prime armi

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