La punteggiatura, questa sconosciuta. Mi capita sempre più spesso di imbattermi in testi in cui la punteggiatura è gestita male o addirittura completamente dimenticata, ma l’aspetto peggiore è che ciò accade non solo sui post di Facebook e nei messaggi privati, ma in testi che dovrebbero avere almeno una parvenza di professionalità. Nonostante questo, io stessa mi accorgo di dare sempre maggiore importanza ad un elemento espressivo tutto nuovo, anche in contesti lavorativi, che spesso sostituisce una buona punteggiatura in modo efficace. Mi riferisco alle emoticon, che non si limitano a rappresentare espressioni e stati d’animo, ma diventano sempre più complesse e descrittive, si potrebbe addirittura creare un testo con il materiale a disposizione. Tuttavia ora lascio la parola alle riflessioni di The Password in merito alla punteggiatura e alle nuove forme espressive e invito tutti a riflettere sul cambiamento in corso e sul proprio ruolo e la propria posizione in merito.

La punteggiatura, in quanto elemento del linguaggio scritto non prettamente necessario alla comunicazione, è da sempre stata volubile e incline alle mode del tempo. L’interpunzione, termine latino originario da cui provengono la maggior parte delle traduzioni a livello europeo, si presenta come bozza in greco, adoperandosi di tre puntini per una breve pausa e di una linea orizzontale per indicare l’inizio di un nuovo paragrafo. Successivamente, in latino si comincia a sviscerare la pratica di inserire dei segni per chiarificare il senso di un discorso, per renderlo più efficace. Solo nel medioevo, finalmente, si palesa la nostra ben conosciuta virgola. Col passare dei secoli, si alternano mode e stili diversi, dal ‘500 rigoroso e pieno di punteggiatura, al ‘600 che invece tende a ometterla. Nel ‘700 si cominciano a coniare delle regole per il suo uso, quelle che noi tutt’oggi apprendiamo a scuola.

Ma come è cambiato l’approccio alla punteggiatura, oggi?

 

Che fine ha fatto la punteggiatura?

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